Qué bestial guerra se ha desatado desde la puta prensa italiana contra Venezuela. Son ataques histéricos que dejan en pañales a los de "El País" de España y a su Grupo Prisa.
El más grande grupo editorial de Italia, “La República” y “L'Espresso” (que en teoría es de izquierda), no escatiman argumentos de ningún tipo para tratar de joder a Venezuela.
Solo ponemos dos ejemplos: después de la victoria electoral de Maduro en Venezuela, “La República” abiertamente habló de fraude (sin pruebas) y de “voluntad popular violada y manipulada”. Además, cuando el Majunche provocó la violencia opositora, simplemente titularon: "estalló una onda de violencia, desatada por el robo de las elecciones y por la fuerte represión policial"...
Por supuesto que no dijeron que los muertos los ocasionaron las bandas de opositores enloquecidas por el llamado a arrecharse del maldito Majunche. Estos medios, al igual que los españoles, andan defendiendo sus intereses en América Latina, atados a multitud de transnacionales unidas a los gringos. Son poderosas mafias. Toda Europa vive de las mafias (claro, que hacen las guerras). En esa mierda lo de la democracia es un chiste bien cagón. Ahora bien, por lo general estos medios reciben la noticias de Venezuela de las versiones de El Nuevo Herald de Miami todas confeccionadas por la SIP. El 14 años de gobierno bolivariano nunca han dicho nada bueno de Venezuela. Esa es la estrategia. Para ellos Chávez fue un monstruo, un dictador, un ladrón y violador contumaz de los derechos humanos. En cambio Italia, Grecia, Francia, Alemania y Estados Unidos son los países maravillas que deben dictar la pautas del progreso y del bienestar social en el mundo, aunque cada día que pasa se hundan más en la mierda. A cada italiano debería hacérsele un examen copro-rectal para ver si saben cantar como Caruso o patear como Mesi, que es lo mejor que hacen y lo único que les interesa en este mundo: luego lanzarlos al estrellato, para que se estrellen de verdad. Macanudos. Porque bolas no tienen para ver el propio peo en que se encuentran, y mientras tanto viven tragándose todas las miasmas que recrean sus medios sobre nuestro país.
Aquí dejamos las pruebas:
L’America Latina contro l’Nsa: da che pulpito viene la predica
Maurizio Stefanini
RUBRICA ALTREAMERICHE Gli Stati membri del Mercosur, la Bolivia e la Colombia chiedono spiegazioni sulle attività di spionaggio degli Usa, ma hanno parecchi scheletri nell'armadio. Il Venezuela ha schedato persino Chávez. Quelle telefonate anonime nella notte a Cuba...
[Fonte: LaNueva.com]
In teoria, l’America Latina continua a fare la voce grossa con Stati Uniti e Europa per il caso Snowden-spionaggio-aereo di Evo Morales.
Il Mercosur nel suo ultimo vertice di Montevideo ha approvato un documento in cui esige che gli Usa spieghino i termini del loro spionaggio ai danni di paesi latinoamericani, rivelato da Snowden; l'organizzazione annuncia inoltre che i suoi membri denunceranno Washington al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, conferma l’intenzione di concedere all'ex contractor dell'Nsa (National Security Agency) l’asilo e attacca "l’attitudine colonialista” mostrata da Francia, Spagna, Italia e Portogallo in occasione del divieto di sorvolo all’aereo di Morales.
In più, il governo di Dilma Rousseff ha annunciato una nuova normativa per obbligare le multinazionali che offrono accesso e servizi su Internet a immagazzinare i dati in Brasile; quello di Evo Morales ha detto che non si accontenta delle scuse formali degli europei sul caso dell’aereo bloccato, ma vuole che i responsabili siano puniti.
Queste sono le dichiarazioni. I fatti raccontano un'altra storia. È stato d’altronde chiarito che gli ambasciatori dei paesi del Mercosur in Francia, Spagna, Italia e Portogallo sono stati richiamati solo “per consultazioni” e fonti della Farnesina hanno spiegato a chi scrive che le note di protesta boliviane confermavano comunque la “volontà di mantenere l’amicizia tra i due paesi”. Intanto il presidente dell'Ecuador Rafael Correa, dopo un colloquio telefonico col vicepresidente Usa Joe Biden sull’accordo di preferenza doganale con gli Usa, ha punito il console ecuadoriano a Londra che aveva concesso “senza autorizzazione” il salvacondotto grazie al quale Snowden è arrivato in Russia.
D’altra parte, una guerra economica tra America Latina e Stati Uniti e/o Europa sarebbe insostenibile. L’Ecuador, a parte la dollarizzazione, dirige verso gli Usa il 45% del suo export. Il Brasile, che ha confermato la visita di Dilma a Washington per il prossimo 23 ottobre, ha tuttora negli Stati Uniti il suo 2° partner commerciale dopo la Cina. Il Nicaragua dirige verso di esso il 49% del suo export. La Bolivia ha espulso l’ambasciatore statunitense nel 2010, ma gli Usa restano il suo 2° partner commerciale dopo il Brasile, mentre per il Venezuela è il 1° (anche come fonte di petrodollari), malgrado i 14 anni di governi bolivariani e invettive. Persino Putin insiste che darebbe asilo a Snowden solo se la smettesse di creare problemi e che per lui le relazioni con gli Stati Uniti sono più importanti che non la talpa dell’Nsa. Snowden e le sue rivelazioni sono un eccellente argomento polemico per campagne elettorali e battaglie mediatiche.
Tuttavia, la posizione morale di gran parte dei protettori dell'ex contractor dell'Nsa quando attaccano lo spionaggio Usa è piuttosto simile a quella dell’Impero Britannico quando condannava il colonialismo italiano in Etiopia; o dei nazisti quando denunciarono Stalin per il massacro degli ufficiali polacchi a Katyn; o dei soldati di Stalin quando rivelarono al mondo gli orrori di Auschwitz; o mutatis mutandis di Obama quando durante la sua recente visita in Senegal ha fatto un cenno alla locale legislazione anti-gay e si è sentito rispondere che se non altro Dakar aveva da poco abolito la pena di morte.
Quindi: accuse giuste; accusatore screditato quanto l'accusato. “Russia, Venezuela, Bolivia, Ecuador e Nicaragua si sono guadagnate il rispetto del mondo”, ha detto Snowden, spiegando il suo desiderio di vistarli il prima possibile. Niente di cui scandalizzarsi: dopo aver presumibilmente agito per idealismo - peraltro tipicamente yankee - il poveraccio cerca di salvarsi e umanamente ringrazia chi gli tende la mano.
A parte la Russia che non rientra nell’ambito geografico di questa rubrica - ma che per via dei 5 anni di condanna inflitti al blogger Alexei Navalny come minimo una citazione la merita - il Venezuela sul fronte dello spionaggio ai danni dei propri cittadini ha battuto un record difficilmente superabile, schedando l’orientamento politico dell’intera popolazione sulla base delle firme per i referendum revocatori del 2004.
Ecco ad esempio i dati del defunto presidente Chávez. “Cédula 4.258.228. Nombre Chávez Frías Hugo Rafael. Fecha/Nac 28/07/1954. Edad 52. Contra Oposición si. Opositor no. Abstención no. Firma Válida no. Firma Rechazada no. Misión Rivas no. Vuelvan Caras no. Otras misiones no. Dirección Caracas Miraflores Miraflores Urdaneta Alacio de Miraflore. Tel. 4791158. Centro Votación 82 Col Univ Francisco de Miranda”.
C’è un refuso: “Alacio de Miraflore” per “Palacio de Miraflores”. Ma vi sono indicati: carta d’identità, indirizzo, telefono, data di nascita ed età; dove e se ha votato per il referendum revocatorio contro il presidente; se ha firmato il referendum revocatorio contro i deputati dell’opposizione; se avendo firmato il primo dei due vada considerato o no oppositore; se la firma “oppositrice” da lui data abbia riguardato la prima raccolta poi annullata o la seconda poi convalidata; se abbia partecipato a qualcuna delle “missioni” assistenziali del regime.
Queste indicazioni su 12.394.109 cittadini venezuelani sono contenute in un cd che l’autore di queste note si procurò in Venezuela non grazie a particolari abilità di hacker o di infiltrato - magari le avesse! - ma semplicemente perché era venduto indisturbatamente per strada dai buhoneros: gli ambulanti informali. Non si sa se a passarglielo sia stata l’opposizione per denunciare lo scandalo, il governo per minacciare la popolazione, o semplicemente qualche funzionario corrotto per guadagnarci sopra.
Questa era comunque la Lista Maisanta: una forma dialettale di “Madre Santa”, che era il “nome d’arte”, per così dire, del signor Pedro Pérez Delgado. Bisnonno di Chávez per parte di madre e celebre capobanda degli llanos venezuelani di inizio Novecento, andava all’assalto agitando una bandiera nera da pirata con teschio e tibie e gridando appunto “¡Mai Santa!”; di lui il presidente narrava: “Quando ero un bambino mi dicevano che ero discendente di un assassino”. Né gli studiosi ostili a Chávez né quelli ostili al bisnonno sono riusciti a capire dalle scarse fonti (soprattutto orali) disponibili se il terribile Maisanta fosse un volgare delinquente o il guerrigliero Robin Hood che il suo bisnipote ha preteso.
“Comando Maisanta”, comunque, fu chiamato nel 2004 il coordinamento delle Unidades de Batalla Electoral chaviste, meglio note come Ube o Patrullas. La Lista Maisanta sviluppava la Lista Tascón, a sua volta finita su Internet, in cui erano schedati tutti coloro che avevano firmato il referendum contro Chávez.
Migliaia di venezuelani hanno denunciato di aver sofferto discriminazioni, specie in campo lavorativo, perché appunto classificati come “oppositori”. Al di là di ciò, la scoperta che le firme dei referendum revocatori invece di essere secretate dalle autorità venivano passate al partito governativo ha tolto del tutto importanza a questo strumento di democrazia diretta che pure sarebbe in teoria una delle più interessanti innovazioni della Costituzione bolivariana. Tuttora il Servicio bolivariano de inteligencia nacional (Sebin) è accusato di controllare e registrare le conversazioni degli oppositori; può contare sull’assistenza dei servizi cubani, che sono specializzati nell’infiltrazione tra i dissidenti.
Telecom Italia, per la sua partecipazione nella società telefonica di Stato cubana Ectesa, è stata accusata dal dissenso non solo di cooperare a spiarli, ma anche di vessarli attraverso ripetuti squilli senza interlocutore.
Quanto all’Argentina, è stato Julian Assange in persona a dichiarare che ha “il regime di vigilanza più aggressivo di tutta l’America Latina”, per via di nuovi strumenti di identificazione “come i sistemi biometrici dei passaporti”. Proyecto X si chiama il programma di spionaggio clandestino della Gendarmeria ai danni di organizzazioni non necessariamente di opposizione, ma comunque al di fuori dell’ambito strettamente governativo.
Visto che stiamo parlando di spionaggio, lasciamo perdere per un attimo le accuse a Correa e Morales di vessare i giornalisti, che sono un altro tema - peraltro, già affrontato più volte in questa rubrica (1,2). È saltato fuori in questi giorni che la Bolivia nell’ottobre del 2011 aveva bloccato a La Paz l’aereo con a bordo il ministro della Difesa brasiliano Celso Amorim.
Dopo che alcuni giornali brasiliani hanno ritirato fuori il caso accusando Morales di ipocrisia, il ministro degli Esteri boliviano David Choquehuanca ha ammesso il fatto. Si è limitato a precisare che era stato per una “goffaggine” della polizia antidroga boliviana e non per il sospetto che vi fosse a bordo il senatore Roger Pinto, un esponente dell’opposizione accusato sia di malversazione che di complicità in una strage. Pinto, che a sua volta parla di persecuzione politica per aver accusato il governo di corruzione e complicità con il narcotraffico, ha effettivamente ottenuto asilo nell’ambasciata brasiliana a La Paz, ma solo dal 28 maggio 2012.
Comunque, adesso il governo brasiliano dice di voler usare il testo sull’asilo politico che il 12 luglio è stato approvato dai presidenti del Mercosur proprio in riferimento ai casi Assange e Snowden proprio per risolvere il caso Pinto. La richiesta più o meno esplicita è: visto che siamo tutti d’accordo che bisogna concedere salvacondotti a richiedenti asilo chiusi in ambasciate o aeroporti, perché non comincia Morales a dare il buon esempio?
Sempre in Brasile, l’agenzia di intelligence Abin, tacciata di incompetenza per non essersi accorta della protesta popolare che stava montando e che poi è esplosa in occasione della Confederations Cup, secondo l’accusa del quotidiano O Estado de São Paulo avrebbe cercato di compensare stabilendo su Facebook, Twitter, Instagram e WhatsApp un sistema di controllo di nome Mosaic, del tutto equiparabile al Prism della Nsa.
Non solo i governi che hanno ostentato particolare indignazione sul caso Snowden sono accusati di usare metodi simili. In particolare, lo scandalo esploso in Colombia nel 2009 per le denunce della rivista Semana sui programmi di spionaggio del Departamento administrativo de seguridad (Das) ai danni di oppositori, magistrati e giornalisti al tempo della presidenza di Álvaro Uribe Vélez ha portato il suo successore Juan Manuel Santos a disporre il 31 ottobre 2011 lo scioglimento del Das.
In Perù, l’ex ministro dell’Interno Fernando Rospigliosi ha appena accusato la Dirección nacional de inteligencia (Dini) di avere al suo interno un “apparato” dedito allo spionaggio politico, che starebbe lavorando perché nel 2016 il presidente Ollanta Humala possa aggirare il divieto costituzionale a un’immediata rielezione attraverso la candidatura di sua moglie Nadine Heredia.
Per approfondire: Lo spionaggio dell’Nsa e le priorità degli Usa in America Latina
Maurizio Stefanini, giornalista professionista e saggista. Free lance, collabora con Il Foglio, Libero, Limes, Longitude, Agi Energia. Specialista in politica comparata, processi di transizione alla democrazia, problemi del Terzo Mondo, in particolare dell’America Latina, e rievocazioni storiche. Ha scritto: I senza patria; Avanzo di Allah cuore del mondo. Il romanzo dell'Afghanistan; I nomi del male; Grandi coalizioni. Quando funzionano, quando no; Ultras. Identità, politica e violenza nel tifo sportivo da Pompei a Raciti e Sandri; Il partito «Repubblica». Una storia politica del giornale di Scalfari e Mauro; Sesso & potere. Grandi scandali di ieri e di oggi. Ha scritto per Il Foglio una biografia di Fidel Castro in cinque puntate e una biografia di Hugo Chávez in venti puntate. Ha redatto il capitolo sull’Emisfero Occidentale in Nomos & Kaos Rapporto Nomisma 2010-2011 sulle prospettive economico-strategiche.